CON ARMIDA GANDINI, VIAGGIO “DI MOTO INFINITO” ALLA COLLEZIONE PAOLO VI, 2019

Pubblico dominio, 2019, video installation, Museo Paolo VI, Concesio (Bs)

Intervista di MariaCristina Maccarinelli per la rivista Espoarte.net, 15 Maggio 2019

Dopo l’incontro avuto in occasione del portfolio issue di Espoarte #105, torniamo a dialogare con l’artista bresciana Armida Gandini, vincitrice della seconda edizione del Premio Paolo VI per l’arte contemporanea e protagonista della mostra  Di Moto Infinito allestita nello spazio della grande sala ipogea dell’omonimo museo di Concesio (BS):

La mostra DI MOTO INFINITO, inaugurata il 30 Marzo e visibile fino al 1 giugno, rappresenta la seconda fase del progetto con il quale hai partecipato alla seconda edizione del “Premio Paolo VI per l’arte contemporanea”. Dopo la mostra collettiva Passaggi, della primavera scorsa,che ti ha visto protagonista con gli altri sette artisti finalisti: Stefano Crespi, Marta Cristini, Ettore Frani, Albano Morandi, Daniela Novello e il duo composto da Corrado Saija e Giorgio Presti, sei stata individuata dalla giuria come vincitrice con il video Pulses per la “qualità formale e l’intensità emotiva dell’opera”, ma anche, come si legge nelle motivazioni, per “la poetica delicatezza e la vivacità linguistica” con le quali avevi presentato il progetto della tua mostra…ci racconti come è nato il tuo progetto?

Il progetto nasce da un lavoro del 2016, pensato in occasione di una campagna a favore di una famiglia di profughi curdo siriani ospiti nel campo di Idomeni in Grecia. Per sostenere la loro causa Fondazione PInAC aveva organizzato una mostra dei disegni realizzati dalla famiglia e aveva chiesto a me di pensare un’installazione artistica che accompagnasse l’esposizione: ho proposto una serie  di sagome di alcuni dettagli dei disegni, ritagliate in vecchi tappeti usati, trasferendo le immagini nello spazio e permettendo al pubblico di camminare fisicamente tra le forme; un modo per attraversare la storia della famiglia in prima persona. Di Moto Infinito è un’evoluzione di questo lavoro sul tema del viaggio inteso come un aspetto costitutivo della condizione umana. 

In questa mostra emergono tematiche che hanno un grande legame con l’attualità, con la realtà che la cronaca ci racconta, con un quotidiano che spesso viene anche strumentalizzato. I confini che diventano sagome e scontorni, il viaggio in tutte le sue forme e implicazioni compresa la migrazione, l’identità dell’individuo ma anche di un popolo, sono solo alcuni dei temi presenti, eppure, sebbene ci siano dei rimandi precisi a fatti o persone, non si ha mai la percezione di una tua volontà di indagine realistica ma piuttosto un tuo intervento atto a filtrare per suggerire una lettura più ampia ed elevata del tema, per renderlo universale…

Io penso che l’arte non racconti la vita, ma l’esperienza di vita, che è molto più aggrovigliata e complessa. Il tema dell’immigrazione è un fenomeno ampio e articolato, al quale non si può rispondere con semplificazioni.  Per quanto riguarda poi il mio approccio al progetto ho sempre pensato che non ci si debba sforzare di essere cronisti della contemporaneità, anche perché lo si è per principio. Credo che la realtà non entri mai nell’opera senza filtri. Quello che mi interessa è lo spostamento che si crea quando il privato incontra l’altro, il mondo, trasformando la contingenza in qualcosa di universale. Di conseguenza ciò che ho tentato di fare per questa mostra è stato appunto ampliare il  concetto di viaggio da immigrazione a migrazione, che è il medesimo movimento ma colto nella sua circolarità. Ciò ha significato per me estendere la riflessione alla storia dell’uomo, attraverso la sua cultura.

Il tappeto, oltre a rappresentare simbolicamente una storia, una cultura, un vissuto, che viene trasferito nelle sagome di Geografie Umane, diventa protagonista anche a parete attraverso il suo negativo con lo scontorno, questa tua scelta trovo abbia una resa molto forte: il bianco del fondo amplifica l’assenza della sagoma, rendendo, a sua volta, una non-presenza un soggetto nuovo e altrettanto significativo …    

La sagoma è un elemento ricorrente nel mio lavoro, così come il bianco, il limbo bianco privo di coordinate spaziali e temporali, un vuoto in potenza, che è negazione e mancanza, ma nello stesso tempo una pagina sulla quale tutto può essere scritto e tutto può succedere, come nella vita … nei video Noli me tangere, Io dico che ci posso provare, Muovo sonnambula al mondo, che costituiscono La trilogia del limbo, lo spazio bianco fa da cornice alle azioni dell’esistenza in senso metaforico. Ho un rapporto ambivalente con il bianco e trovo che il gesto di azzeramento possa in alcune situazioni diventare il presupposto per una ripartenza. Nel caso dei tappeti in mostra il pieno e il vuoto si rincorrono in un gioco di stratificazioni e rimandi, in dialogo con la storia dell’arte, i testi letterari e le narrazioni del presente.

Mi vorrei soffermare sull’opera Di Moto Infinito, che dà il titolo alla mostra, una grande bolla (semisfera in plexiglass) collocata in una zona centrale della sala, che attraverso le sequenze di tre figure e il loro movimento ci narra episodi legati all’acqua e al mare… ci spieghi meglio perché hai scelto proprio questi protagonisti e perché il fondo è rappresentato da una superficie lunare?… 

Di Moto Infinito  raduna tre momenti della storia dell’uomo, lontani nel tempo e nello spazio, rappresentati da tre figure implicate in storie di mare: il mare degli inferi della donna salvata da Cristo nell’affresco trecentesco della chiesa di Chora in Turchia; il mare biblico con il personaggio del quadro di Luca Giordano raffigurante Miriam e le donne ebree al passaggio del Mar Rosso e il mare contemporaneo del migrante soccorso, tratto da una recente fotografia di cronaca. I disegni sulla calotta della semisfera riassumono in un’unica immagine  l’andamento ciclico della vita degli uomini, ora come nel passato remoto coinvolti in storie di viaggi salvifici, forzati, liberatori. I tre personaggi galleggiano su una superficie trasparente – simbolo della fragilità del pianeta –  e ruotano attorno alla fotografia della luna sottostante. Questo perché il lavoro gioca sul ribaltamento prospettico: il cielo, rappresentato dalla luna,  è posto nella parte inferiore  e sembra evocare il mare.

Attraverso le opere si legge un continuum che assume di volta in volta manifestazioni diverse, linguaggi diversi, espressioni artistiche che spaziano dall’arte alla letteratura al cinema. Questo approccio all’opera d’arte non ti è nuovo…

In questa mostra l’approccio che tu descrivi è ulteriormente accentuato … sono solita affrontare il progetto cominciando da prospettive diverse, sia per quanto riguarda gli strumenti di lavoro che i riferimenti linguistici. Il tema da cui sono partita  è molto complesso, non solo un fatto d’attualità con delle priorità date dall’emergenza … L’arte, la grande letteratura, la storia, ci possono aiutare ad aprire lo sguardo su un fenomeno così esteso che merita riflessioni più ampie. In più mi trovavo a pensare l’allestimento per un Museo che conserva centinaia di opere ispirate dal Vecchio e  Nuovo Testamento, che sono ricchi di episodi riguardanti lo spostamento umano, dall’esodo alla fuga in Egitto. Basterebbe allargare i propri orizzonti culturali per avere delle risposte alle paure correlate al movimento delle persone, alla labilità dei confini, all’incontro con l’altro da noi. Trovo interessante questo desiderio – o necessità –  che porta l’esperienza a misurarsi con altri tempi, altri linguaggi, altre modalità e contesti. Così anche il mio lavoro è diventato una sorta di viaggio nella storia dell’arte e dell’immagine cinematografica, in dialogo con alcune opere che nel corso dei secoli hanno parlato  di viaggi orizzontali, ascensionali o cosmici; un’altra testimonianza di quanto sia riduttivo cercare di dare delle risposte senza approfondire la questione.

Il video Pubblico Dominio chiude idealmente il percorso della mostra attraverso sequenze di film e documentari in bianco e nero che ci rimandano alle origini del cinema, ci mostra viaggi reali ed immaginari che scorrono all’interno dei confini di sagome umane … perché questa scelta?

Il video che presento è un’escursione nel cinema delle origini,  due film di Méliès relativi a viaggi spaziali e impossibili, alternati ad un documentario  sul  sistema dei pianeti del 1925. Le sequenze filmiche scorrono all’interno di sagome tratte da dettagli di opere d’arte o disegni di bambini profughi in campi di accoglienza. Hanno confini definiti e ben delineati, sono territori chiusi, ma la campitura che ritagliano è una zona fluida, vibrante, in movimento, difficile da definire (come del resto l’identità che è sempre sfaccettata). Credo che l’idea di fondo nasca dalla riflessione che ogni progetto di ricerca – l’uomo è in costante cammino – si manifesti nel passaggio che ognuno di noi sviluppa nel proprio corpo. Il fluire del pensiero nella materia transita nello spazio chiuso, ma se c’è movimento  i confini non creano attrito. Nella mia visione il corpo è un’entità dinamica e fluida; allo stesso modo all’interno di un’area definita da un confine preciso la vita scorre, transita e il territorio è di dominio pubblico. La terra è un dominio pubblico. La volta celeste è un dominio pubblico. E così la cultura ci appartiene e consente di essere attraversata.

Intervista di MariaCristina Maccarinelli per Espoarte in occasione della mostra del Premio Paolo VI per l’arte contemporanea, 2019

Pubblico dominio, Arteam Cup Prize 2020, Fondazione Dino Zoli, Forlì

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