PROTESI, dal 2008

IL corpo di lavori (disegni su carta, realizzati tecnicamente sommando disegno a grafite e immagine fotografica trasferita con trielina) raggruppati sotto il nome Il dono derivano dal video Touch  me (vedi sezione video). La bimba protagonista concepisce le trecce come prolungamento del proprio corpo per entrare in contatto con ciò che la circonda, per uscire dalla sua corazza, per donarsi e ricevere a sua volta dei doni (le trecce per me sono un ricordo d’infanzia che ai tempi mi ossessionavano, ora ci penso con nostalgia). La matrice letteraria è quella della fiaba di Raperonzolo, della ragazzina nella torre d’avorio, a cui appunto le trecce consentiranno di superare le sue barriere.

Accanto ai disegni una scatola in ferro verniciato di rosso lascia fuoriuscire due trecce dello stesso colore come metafora di un’energia che non si contiene e tenta una relazione con l’esterno.

Portami, 2010, mixed media on rosaspina paper, cm 70 x 100
Il dono, 2008, mixed media on rosaspina paper, cm 45 x 52
La serra, 2008, mixed media on rosaspina paper, cm 75 x 70
Tentativo di prendere il volo, 2008, mixed media on rosaspina paper, cm 55 x 75
Petite Vérité, installation view Galleria Il Castello, Trento, 2010
Gorgiera, 2008, mixed media on rosaspina paper, cm 70 x 70
Il dono, 2008, mixed media, cm 30 x 30 x 120
Protesi, 2011, mixed media, installation view Castello di Torrechiara
Protesi, 2011, mixed media, installation view Castello di Torrechiara

Protesi, 2011, mixed media on rosaspina paper, cm 50 x 140
Protesi, 2011, mixed media, installation view Castello di Torrechiara
Protesi, 2016, mixed media, installation view Spaziocontemporanea, Brescia

Storia di una bambina che odiava le sue trecce.

Con un’evoluzione del progetto Il Dono, Gandini contestualizza nella  galleria Koma (Belgio), ubicata di fronte ad una rara torre barocca – monumento civico rappresentativo della città di Mons – il suo lavoro Storia di una bambina che odiava le sue trecce partendo dalla matrice letteraria della fiaba di Raperonzolo: la protagonista è una  ragazzina nella torre d’avorio, a cui appunto le trecce, intese come prolungamento del corpo, consentiranno di superare le barriere dell’isolamento  per entrare in contatto con ciò che la circonda, per uscire dalla sua corazza, donarsi e ricevere a sua volta dei doni. Lo spazio della galleria diventa il luogo di reclusione, ma le trecce /segno emergono dal muro di fondo per dirigersi verso lo spettatore: una richiesta di aiuto? Una manifestazione del bisogno di relazione? L’immagine del vivere come superamento nel tempo di ostacoli progressivi? Nessuna risposta, se non, forse, ulteriori muri che si ergono. L’installazione presenta un sottofondo sonoro della storia di Raperonzolo, realizzata attraverso una serie di citazioni colte dei libri della vita di Armida, che raccontano in modo metaforico le medesime situazioni emotive e psicologiche vissute dai personaggi della fiaba.

Storia di una bambina che odiava le sue trecce, 2011, mixed media, installation view Galerie Koma, Mons
Storia di una bambina che odiava le sue trecce, 2011, mixed media, installation view, Galerie Koma, Mons
Storia di una bambina che odiava le sue trecce, 2011, mixed media, installation view, Galerie Koma, Mons

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