Rane in pancia, 2006

di Gabriella Serusi

Con il progetto installativo Rane in pancia, appositamente studiato per la galleria di Fabio Paris in concomitanza con la partecipazione dell’artista alla Biennale Internazionale di Fotografia di Brescia 2006, Armida Gandini prosegue nell’accurata ricognizione di quel paesaggio dissestato e irregolare che è l’emotività umana, quando questa si predispone nell’atteggiamento particolarissimo di voler raccogliere tutti gli spunti e le sollecitazioni meno ovvie e meno certe provenienti dalla realtà circostante, dal mondo fuori dai suoi soggetti.
In un panorama – quello dell’arte contemporanea di ultima generazione – che sovente sceglie la linea aspra e roboante della provocazione e dell’aggressione, del gigantismo e del fuori misura, è prezioso lo sguardo dell’artista bresciana lanciato obliquamente sulle cose del mondo, sulle mancanze e sulle fragilità psichiche che condizionano l’esistenza umana nelle società globalizzate e omologate dell’oggi.
Armida Gandini, con la delicatezza e la grazia che ne contraddistinguono tanto il lavoro quanto la persona, ha sempre preferito, attraverso il linguaggio della fotografia arricchita da interventi disegnati, immaginare anziché descrivere la realtà, inabissarsi anziché galleggiare sul pelo dell’acqua, contraddire con ironia i luoghi comuni e gli schemi fissi anziché assecondarli. Non è un caso quindi che l’artista abbia eletto a campo di indagine, proprio quelle fasi della vita – l’infanzia o l’adolescenza – maggiormente implicate nei processi di sconvolgimento e riassetto delle emozioni. Metafora di una condizione che prescinde l’aspetto biografico delle singole vite, l’età infantile o post-puberale è divenuta, soprattutto negli ultimi anni, oggetto di attenzione e di studio per quanti ritengono che questo universo parallelo, fluido e in divenire raccolga in sé le potenzialità magnifiche del cambiamento e il pericolo costante delle incertezze e del disequilibrio. L’adolescenza non è infatti solo un momento di passaggio della vita umana, è anche uno stato mentale, una condizione che si riflette prepotentemente su lifestyle e tendenze.

Gli adolescenti sono consumatori onnivori, instancabili, distratti e attenti ma, allo stesso tempo, sono creature fragili, fragilissime, specchi in cui si riflettono le numerose incongruenze e aporie del mondo adulto.
Armida Gandini sposta l’attenzione dal piano della semplice registrazione delle abitudini, dei gusti, del way of life delle giovanissime al substrato percettivo ed emotivo delle adolescenti, componendo un ritratto ben più sottile e meno consolatorio. 
Se le precedenti immagini erano popolate di bambine intente a rivendicare uno spazio autonomo e indipendente in un universo adulto e indifferente, in questa nuova serie fotografica dedicata all’età adolescente, vengono a galla tutte le contraddizioni, le impotenze, i desideri e i conflitti di una generazione costretta dalle contingenze a districarsi nella realtà come un equilibrista o un funambolo. Affiora in questi lavori una trama fitta e perturbante di paure e di domande a cui l’artista da visibilità e legittimità, ma non risposte.

La delicatezza con la quale il punto di vista si sviluppa e realizza delle forme creative non è figlia di un disincanto cinico, proprio di chi possiede una verità; è piuttosto l’emanazione diretta di quella ritrosia che si ha quando la partecipazione emotiva verso le questioni dibattute è ancora viva e scottante. Il tradimento dei desideri, la perdita di ancoraggi fissi, la confusione fra ideali da realizzare e obiettivi effettivamente perseguibili, l’implosione delle emozioni, la ricerca di orizzonti lontani, il tumulto emotivo e l’urgenza di sottomettere la ragione alla dura legge della passione, sono voci di un dizionario dei perché esistenziali ben più ampio e variegato che l’immaginario di Armida ha esplorato ripetutamente nel tempo.

L’installazione ambientale Rane in pancia affronta dopo le grandi questioni della definizione del Tempo e del Caso, quello della Rigenerazione. Il concetto di un tempo fluido e dinamico che rifugge la stagnazione in vista di una trasformazione e di una palingenesi attiene perfettamente alle idee di transitorietà e mutevolezza associate all’età dell’adolescenza, quando le possibilità si moltiplicano e la fisionomia dei pensieri e dei desideri muta con la stessa velocità del corpo.
Una fanciulla, incredula di ciò che sta accadendo dentro di lei, rivolge lo sguardo verso se stessa, verso il centro del suo corpo (la pancia) dove sono stati praticati tramite elaborazione grafica dell’immagine, dei vuoti corrispondenti a piccoli girini. Le creature animali non ancora formate, non ancora adulte, diverranno successivamente rane, per diffondersi nello spazio della galleria in modo anarchico e libero sottoforma di figurine tridimensionali realizzate con la carta. 
All’immagine fabulosa e mitica di un corpo mutante e metamorfico, si aggiungono adesso la paura della scoperta e l’incertezza del cambiamento, momenti che preludono la completezza e la piena coscienza dell’identità.

L’installazione sottende un pensiero complesso e articolato – ricorrente nei lavori dell’artista – sulla genesi del mondo e degli esseri, colti sempre nella stagione della muta, nella condizione del passaggio, nell’atto di ridefinire confini e modalità dei comportamenti.
Armida però, come si diceva all’inizio, è incline a cogliere il portato emotivo di questa trasformazione, tutte le più piccole oscillazioni dell’anima dei suoi protagonisti, i delicati e inquietanti sconcerti che la psiche affronta quando il mondo dentro o fuori di lei si modifica.
Le semisfere trasparenti, simili a bolle o uova che presto si dischiuderanno, lasciano intravedere sul fondo altre immagini di giovani ragazze alla ricerca di un equilibrio e di una posizione eretta che non si raggiunge mai. Forse, quei disegni a china impressi sulle calotte delle semisfere raffiguranti reti, gomitoli, creature animali, minacciano la libertà di movimento e di azione della fanciulle. Forse sono limiti da valicare prima di librarsi ragionevolmente in volo. A volte sono ostacoli che noi stessi interponiamo fra noi e il mondo, a volte parole e pensieri che si dissolvono come bolle di sapone nell’aria. 

Nel frattempo si sta, come queste figure, sospesi, in attesa, in pericolo, in movimento, cercando di fare o di riempire il vuoto, fuori e dentro, per ripartire con slancio.

Gabriella Serusi, Rane in pancia, testo critico in occasione della mostra presso Fabio Paris Artgallery, Brescia, 2006

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